CfP: Est-Ovest/ Nord-Sud. Frontiere, passaggi, incontri culturali (XXI Congresso AIPI)
- Ort: Bari, Italien
- Beginn: 27.08.14
- Ende: 30.08.14
- Disziplinen: Literaturwissenschaft, Sprachwissenschaft, Medien-/Kulturwissenschaft
- Sprachen: Italienisch
- Frist: 31.12.13
XXI Congresso AIPI (Associazione Internazionale dei Professori di Italiano)
Est-Ovest/ Nord-Sud. Frontiere, passaggi, incontri culturali
Università di Bari
Coordinamento del Comitato Organizzativo: Pasquale Guaragnella (Università di Bari), pasquale.guaragnella@uniba.it
Il XXI Congresso AIPI a Bari si ispira ai valori e alle tradizioni di una terra, la Puglia, che, successivamente occupata da Greci, Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Francesi, Spagnoli ed altri, fu sempre, dai tempi più remoti ai giorni nostri, all’incrocio tra Est e Ovest, Nord e Sud. Il laboratorio culturale pugliese offre lo spunto per riflettere sulla secolare ibridità della lingua e della letteratura italiane. Ci si augura che la tematica scelta stimoli interventi sull’ibridità linguistica, sull’incrocio di tradizioni, generi, discorsi e testi, sulle letterature di migrazione tra passato e presente, sulla rappresentazione dell’Altro (straniero, barbaro, esotico, etc.) nella letteratura italiana, sul valore del plurilinguismo e dell’interculturalità nella didattica della lingua, della letteratura e della civiltà italiane.
Il XXI congresso AIPI 2014 si articola in 8-10 sezioni. I soci interessati a intervenire sono pregati di indirizzare le loro proposte, entro il 31 dicembre 2013, ai responsabili delle singole sezioni. La scelta delle proposte avverrà in base alla loro pertinenza al tema delle varie sezioni. Il congresso è aperto anche a soci nuovi.
I responsabili delle sezioni si occuperanno della scelta dei relatori (al massimo 15 a 20 per sezione) e cureranno la redazione e pubblicazione degli atti. Si chiederà ai relatori di versare la quota per due anni consecutivi (2014/2015) per far diventare effettiva l’accettazione della loro proposta (pagamento elettronico).
Sezione 1
Nuove geografie letterarie nell’Italia del XXI secolo
a cura di Silvia Contarini, Giuliana Pias, Lucia Quaquarelli, Univ. di Parigi-Nanterre, e Margherita Marras, Univ. di Avignon
silvia.contarini@wanadoo.fr
Nella sua opera di riferimento, Geografia e storia della letteratura italiana (1967), Dionisotti insisteva sulla necessità di riconoscere la dimensione territoriale, oltre che storica, dei testi letterari, dando della letteratura italiana un’immagine pluricentrica e polimorfa. Tenuto conto della molteplicità delle esperienze culturali e linguistiche succedutesi nell’arco di quasi 50 anni, nonché dei processi di accelerato contatto fra culture, sarebbe quanto mai interessante verificare e aggiornare le mappature, indagando le peculiarità delle territorialità (o de-territorialità) che caratterizzano l’attuale panorama letterario.
È ancora pertinente e incisivo l’elemento geografico-culturale nella produzione letteraria italiana più recente?
Qual è l’impatto di fenomeni come migrazione, mondializzazione, circolazione internazionale sulla geografia letteraria nazionale?
Qual è l’influenza del radicamento in (o dello sradicamento da) territori di origine, di transito, di approdo?
Si registrano variazioni significative nelle letterature (come quella siciliana, sarda, veneta o altre) da sempre connotate da una forte specificità geografica e linguistica?
Ci si può chiedere inoltre: in che misura le nuove plurali sollecitazioni – cui oggi sono sottoposti gli immaginari, a confronto diretto con contesti internazionali e nuovi linguaggi – cambiano la prospettiva del locale e del nazionale? Ed esistono narrazioni che attraversano confini e nazionalità, partendo da uno spazio locale, riprendendo e/o riformulando moduli narrativi autoctoni e/o tradizionali?
Per rispondere a queste e altre domande, le due linee cardinali nord-sud ed est-ovest, nonché le spazialità “globali-locali”, andranno esplorate soprattutto nelle loro interazioni.
Sezione 2
I traduttori come mediatori interculturali
a cura di Sergio Portelli, Univ. di Malta, e Bart van den Bossche, Univ. di Lovanio
bart.vandenbossche@arts.kuleuven.be
La metafora della traduzione come ponte tra culture, ormai ampiamente diffusa, colloca il traduttore nel ruolo di costruttore di ponti interculturali (mediatore fra letterature e culture). Nel corso dei secoli, i traduttori di opere letterarie hanno avuto un ruolo importante, benché molto spesso trascurato dalla critica, nella disseminazione, ricezione e trasformazione di tematiche, generi, stili e poetiche da una letteratura all’altra.
In questa sezione ci si propone di approfondire le seguenti tematiche su tale argomento: traduttori e la (in)visibilità della loro mediazione interculturale; gli scrittori-traduttori come mediatori attivi (ossia che introducono nella propria opera elementi della letteratura che hanno tradotto); rappresentazioni di traduttori come mediatori in opere letterarie, e il fenomeno dell’autotraduzione come mediazione (inter)culturale. Si darà la preferenza ai contributi riguardanti i traduttori in italiano, ma saranno considerate anche le proposte aventi per tema i traduttori dall’italiano ad altre lingue.
Sezione 3
Narrarsi per ritrovarsi: pratiche autobiografiche nelle esperienze di migrazione, esilio, deportazione
a cura di Peter Kuon, Univ. di Salisburgo, e Monica Bandella, Archivio delle memorie migranti, Roma
peter.kuon@sbg.ac.at
Da sempre la letteratura si nutre dell’esperienza di esiliati, deportati, migranti, profughi, persone che vivono e scrivono il passaggio delle frontiere come causa di una trasformazione profonda nelle loro vite, che in molti casi si trasforma in un vero e proprio sradicamento identitario e culturale. Uno dei primi gesti del soggetto la cui esistenza è stravolta da un allontanamento forzato o inevitabile dal ‘famigliare’ – ovvero l’istinto dell’essere umano ansioso di ricostruirsi un’identità abitabile (Ricoeur) –, è infatti spesso quello del raccontare, a voce o scrivendo, il proprio passato (felice o infelice) nel paese lasciato, il viaggio, l’arrivo e l’accoglienza, la quotidianità, le relazioni sociali e tanto altro.
In riferimento a questo specifica situazione narrativa, proponiamo di considerare l’autobiografico come un insieme di pratiche (Genette) molto diverse che coprono un territorio mai sufficientemente esplorato tra voce e scrittura, testimonianza e racconto, documento e finzione, e che adottano forme letterarie, audiovisive, fotografiche, artistiche e multimediali in senso lato. Si vuole prendere in considerazione non solo l’opera letteraria o artistica conclusa e riconosciuta in quanto tale, ma tutto ciò che, diventando espressione della propria individualità, aiuta i soggetti sradicati a ricomporsi, ritrovarsi, e ri-definirsi nella nuova realtà. Fondamentale è allora anche considerare i contesti di ascolto e ricezione in cui si muovono i racconti autobiografici di persone che vivono o hanno vissuto esperienze di migrazione, esilio, deportazione, fuga: nella ri-determinazione del proprio ‘io’ è infatti inevitabile il confronto con l’‘altro’. In questi termini si porrà l’attenzione su pratiche autobiografiche realizzate nella lingua materna, che è a sua volta spazio identitario, strumento di auto-rivendicazione e appartenenza ma anche – ed è il caso particolare di persone migrate verso l’Italia negli ultimi decenni –, nella lingua del paese di accoglienza. La scelta dell’italiano rivela l’intento fortemente comunicativo di cui le narrazioni autobiografiche si fanno portavoce, e mette in luce un vasto e variegato repertorio di contaminazioni linguistiche e culturali che l’italianistica contemporanea non può ignorare.
Sezione 4
Il linguaggio della moda e del costume italiano
a cura di Dagmar Reichardt e Carmela D’Angelo, Univ. di Groninga
dagmarreichardt@hotmail.com; m.c.dangelo@rug.nl
Questa sezione si occupa del linguaggio della moda e del costume italiano dedicandosi all’abbigliamento nel contesto della letteratura, arte e cultura italiana, ma anche all’argomento della “Moda made in Italy” come risultato di influssi stranieri e come veicolo didattico. Dall’impero romano ai giorni nostri, dagli studi sull’antichità classica (Anne Hollander) e sul Rinascimento (Elizabeth Birbari) fino all’interpretazione semiotica (Roland Barthes), alle paradossalità (Elena Esposito) e all’ineluttabilità della moda (Karl Lagerfeld), il ragionamento teorico sulla moda ha cercato di spiegarne il significato vitale, storico, simbolico, sociologico-culturale ed estetico-artistico. Da sempre, le differenze tra nord e sud, occidente e oriente si riflettono in maniera evidente nei modi di vestirsi e di tematizzare il tessuto nei testi letterari, nei film, nell’arte, nel teatro e nella lingua italiana.
Per aprire una sfera di ricerca innovatrice e interdisciplinare, questa sezione accoglie proposte di ogni argomento correlato alla storia culturale italiana della moda e del tessuto, preferibilmente se posto in un contesto inter- o transculturale: sono pensabili analisi del discorso ibrido sulla moda nella letteratura e lingua italiana, nell’arte, nel cinema, nel teatro e nei media, ma anche singoli studi di griffe italiane, aspetti social-critici (p.es. dell’economia sommersa e del precariato nel film Gomorra, o il caso Benetton), di genere (uomo-donna), filosofici ed artistici, accademie di moda in Italia e/o programmi master legati a case di moda, il tutto sempre posto nell’ottica degli ibridismi. Dal genere del film storico in costume (peplum) alla moda nel nuovo millennio, dal significato del vestito nel Rinascimento italiano fino all’adattamento cross-mediale della moda italiana in Il diavolo veste Prada, ogni proposta sarà benvenuta finché sia correlata al soggetto della moda italiana e si orienti criticamente agli spazi est-ovest, e/o nord-sud.
Sezione 5
Cinema e migrazione
a cura di Leonarda Trapassi, Univ. di Siviglia, e Linda Garosi, Univ. di Cordova
ltrapassi@us.es ; l02garli@uco.es;
Il cinema italiano ha raccontato la trasformazione dell’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Ampia è la parabola disegnata dai film italiani che hanno rappresentato il dramma degli italiani in partenza, nel contesto di esodi interni dal Sud al Nord o dell’emigrazione verso altri paesi, in cerca di un futuro migliore (Pane e cioccolata; Nuovomondo, Rocco e i suoi fratelli; Napoletani a Milano, ecc…). Nei primi anni ’90 il panorama cinematografico italiano inizia a rivolgere la propria attenzione alle storie e ai percorsi esistenziali dei cittadini stranieri nel seno della società italiana, per giungere, nel 2011, anno dell’uscita del film di Crialese, Terraferma, a una massiccia presenza nelle sale di pellicole incentrate sull'immigrazione tale da configurare un nuovo genere, dopo la precedente frequentazione sporadica e superficiale.La settima arte narra così l’immigrazione aprendo squarci di verità su una realtà complessa, che mette al centro soprattutto il dramma umano dell’identità negata. In quest’ottica il cinema riflette su temi di scottante e tragica attualità e su profonde dinamiche socio-culturali, in particolar modo laddove i luoghi dell’esclusione si trasformano in veri e propri protagonisti della vicenda (Lampedusa, le campagne del Mezzogiono).
La sezione si propone di studiare nel corso della storia del cinema italiano le modalità e le scelte stilistiche nella rappresentazione, tra finzione e realtà, delle storie della migrazione, con particolare attenzione a:
- conflitti di civiltà; processi di accoglienza, integrazione culturale e forme di convivenza sociale;
- confini e frontiere: l’Italia come meta di viaggi alla ricerca di un futuro possibile;
- paura dello straniero; esclusione, discriminazione e identità negata.
Sezione 6
Pragmatica e interculturalità
a cura di Ineke Vedder, Univ. di Amsterdam, e Elisabetta Santoro, Univ. di San Paolo
esantoro@uol.com.br; S.C.Vedder@uva.nl
La sezione si propone di raccogliere contributi che investigano lo sviluppo della competenza pragmatica e della competenza comunicativa interculturale in italiano L2 in diversi contesti, tra cui quello guidato e non guidato, dentro e fuori d’Italia. Si pensa, in particolare, a studi di carattere teorico e empirico che mettano in relazione teorie legate ai temi proposti e pratica didattica. Le proposte potranno riguardare ricerche di carattere pragmalinguistico, come l’acquisizione e l’insegnamento degli atti linguistici (e.g. richiesta, protesta, rifiuto) in italiano L2; l’uso dei modificatori (e.g. mitigatori) da parte di apprendenti L2; lo sviluppo delle conoscenze linguistiche in relazione allo sviluppo della competenza pragmatica e della competenza comunicativa interculturale; la valutazione e il confronto tra diversi approcci per l’insegnamento della pragmatica e dell’interculturalità. Saranno inoltre benvenuti studi di tipo sociopragmatico che investigano le caratteristiche di vari tipi di scambi conversazionali in contesti culturali e linguistici diversi: le conversazioni faccia a faccia tra parlanti nativi e non nativi; le interazioni tra apprendenti L2; le interazioni didattiche tra insegnanti e apprendenti; le conversazioni a distanza, tra cui quelle telefoniche o quelle effettuate tramite gli scambi dialogici in film e fiction; le ricerche corpus based.
Sezione 7
Le rappresentazioni della crisi nel nuovo Millennio. Tra utopia e distopia, tra il Nord e il Sud italiano
a cura di Monica Jansen, Univ. di Utrecht, Srecko Jurisic, Univ. di Spalato, Natalie Dupré e Inge Lanslots, Univ. di Lovanio
sreckojurisic@gmail.com
Il concetto di crisi, nella sua polivalenza, è indicatore sia di emergenze da risanare e quindi di distopie, sia di nodi nevralgici che nella loro complessità generano desideri, e quindi utopie. Attualmente, il vocabolo ha invaso, oltre al campo economico-finanziario, in maniera capillare l’esistenza al punto che ormai riesce difficile immaginare un mondo senza crisi. L’immaginario della crisi comporta le rappresentazioni letterarie (e artistiche in generale) di una visione utopica o distopica del mondo. Si intende nella presente sessione prendere in esame il passaggio alla Seconda Repubblica e al Nuovo Millennio che ha visto l’Italia trasformarsi attraverso numerosi rivolgimenti storici, socio-economici, politici e culturali che ne hanno inevitabilmente plasmato il profilo artistico. Si vogliono perciò interrogare i concetti che si propongono sia come indicatori di crisi in diversi campi di sapere (precarietà, criminalità, complotto, narcisismo, edonismo, nazionalismo, razzismo ecc.) sia come indicatori di modalità per uscirne (nomadismo, primitivismo, autonomia, ecologismo, rivoluzione ecc.), sia come concetti ambivalenti che esprimono le due dimensioni contemporaneamente (postcolonialismo, postmodernismo ecc.). Le utopie o distopie che essi generano sono inevitabilmente relative al punto di vista e dunque soggetti alla ‘relazionalità’ o la ‘dipendenza’, ‘subalternità’ di chi produce le narrazioni in cui essi vengono messi ad operare. La sessione invita a riflettere sulle diverse narrazioni della crisi tra il nord e il sud italiani, partendo dal presupposto che ogni binarismo tra utopia e distopia parte da una molteplicità di punti di vista, che si organizzano nella forma del conflitto o si incontrano in un progetto per il futuro. La sessione è volutamente formulata in modo aperto, avendo come scopo quello di riflettere sulla complessità delle narrazioni sulla crisi, che spesso vengono lette in una luce univoca, utopica o distopica che sia.
Sezione 8
Musica italiana e d’oltralpe nel Quattro-Cinquecento come presupposto dell’interazione linguistica e culturale
a cura di Francesco Luisi, Univ. di Parma e Franco Musarra, Univ. di Lovanio
Franco.Musarra@arts.kuleuven.be; fluisi@libero.it
Nei secoli XV e XVI è preponderante, in Italia, la presenza di musicisti provenienti da Paesi franco-fiamminghi e d’oltralpe in genere. Il fenomeno s’inquadra in una situazione culturale che si alimenta dell’appassionata aderenza a uno stile musicale di forte impatto intellettuale. Tale stile si compendia nella musica polifonica, appannaggio delle grandi cappelle musicali ma ben presto coltivata anche nelle corti del Rinascimento e nelle classi alte della società italiana. Il fenomeno è noto sul piano musicale ed è ormai accertato il contributo che i musicisti nordici hanno dato alla cultura della Penisola, importando un sistema compositivo basato sulla tecnica del contrappunto, dell’elaborazione polifonica e dell’artificiosità. Tali elementi seppero rendere al prodotto musicale un aspetto intellettualistico al quale i musici italiani guardarono dapprima con ammirazione e, in seguito, con costruttivo spirito di emulazione. Nel Quattrocento, in particolare, i musicisti fiamminghi trovarono in Italia una tradizione autoctona che privilegiava l’espressione monodica accompagnata che, interpretando istanze culturali di marca umanistica, tendevano ad esaltare la melodia, il testo poetico e il suo portato semantico. I musicisti d’oltralpe importavano di contro prodotti polifonici elaboratissimi che guardavano ai testi letterari come semplici “pretesti” a cui affidare l’elaborazione. Mancava quasi del tutto l’ariosità espressiva delle linee melodiche orizzontali ed era disatteso il rapporto tra la semantica del testo e l’invenzione musicale. In estrema sintesi si può affermare che il musicista italiano si esibisse nella creatività melodica e quello fiammingo nell’elaborazione contrappuntistica. A metà strada del percorso, agli inizi del Cinquecento, la situazione appare esemplarmente definita nel Cortegiano, ove appaiono stigmatizzati il “cantare alla viola” e il “cantare a libro”, rispettivamente in relazione al canto espressivo accompagnato e al canto polifonico contrappuntistico, risultando chiara la propensione del Castiglione per il primo, giacché considerato il più idoneo a rendere espressività alla poesia. Ma nel corso del Cinquecento i compositori fiamminghi attivi in Italia – succeduti alla terza generazione – scriveranno madrigali polifonici su testi italiani, come peraltro faranno gli italiani che avranno assorbito la lezione compositiva dei colleghi oltramontani. Non è chiaro come si sia giunti a tale perfetta integrazione degli intenti artistici: il problema non riguarda evidentemente l’acquisizione d’una tecnica di composizione da una parte o la conoscenza della lirica italiana dall’altra. Esiste in realtà una sottile continua frequentazione delle culture destinate a entrare l’una nell’altra in una fusione perfetta, superando le differenze linguistiche, integrando i meccanismi della composizione, sperimentando nuove soluzioni sulla diversità intesa come arricchimento delle possibilità compositive ed espressive. Ed è importante considerare il quadro artistico nel suo insieme anche all’interno delle singole espressioni artistiche. Si mira perciò a delineare anche i presupposti d’interazione su piani letterari, linguistici, sociali e di costume. Le testimonianze non mancano, ma al momento sembrano circoscritte in un ambito indiziario. Sono molti, ad esempio, i casi in cui gli stessi nomi (non solo quelli di difficile pronuncia) dei musicisti e di altri artisti vengono italianizzati con evidenti intenti familiarizzanti. Per fare un esempio, non solo si troverà scritto “il nostro Adriano” in riferimento al compositore e maestro di cappella Adrian Willaert, ma anche il più significativo “il nostro Uigliart”. Similmente si notano casi in cui incipit di varie chanson franco-fiamminghe assunte nel repertorio polifonico, elaborato negli ambienti aulici italiani, subiscono trasformazioni grafiche aderenti alla resa fonetica originale, oppure danno origine a composizioni mescidate italiano-francese o italiano-fiammingo o italiano-tedesco che finiscono col diventare un genere, quasi una categoria “caricaturale” di composizioni utilizzate con funzioni “rappresentativo-buffonesche” o “ironico-ricreative” in ambito cameristico. In ambedue i casi la loro utilizzazione fa evidentemente leva sul ricorso alla memoria, all’evocazione o ricreazione di situazioni ben circostanziate e note che rappresentarono una consuetudine nel costume e nell’immaginario collettivo. Per fare qualche esempio, la canzone francese già graficamente contaminata “La vida de Culin”, presente nel Ms 871 di Montecassino databile all’ultimo quarto del Quattrocento, non solo offre il suo tema alla composizione “Que farayie”, ma a lungo sopravvive al tempo, essendo indicata come titolo di danza in un trattato manoscritto degli anni Trenta del Cinquecento conservato a New York. In un altro caso il brano che ironizza sui Lanzichenecchi e sulla lingua alemanna del compositore Alexander Coppinus, “Lanx maine far choxon” nel Ms BR 230 della Nazionale di Firenze (dei primi anni del ‘500) è soggetto a ulteriori trasformazioni linguistiche nel “Lanziman star cozone” del coevo Ms Magliabechiano 121 della stessa biblioteca. Ma forse la circostanza più evidente della contaminazione si trova in alcune composizioni centonizzate che accolgono, in un sapiente tessuto contrappuntistico polifonico, un insieme di varie citazioni originali appartenenti sia al repertorio italiano che a quello franco-fiammingo. Volendo citare un esempio si può ricorrere al brano attribuito a un non meglio identificato Musicola (evidente nome d’ispirazione umanistica) che in un centone del Ms Magliabechiano 164-167 della suddetta biblioteca mette insieme, come in un ingegnoso puzzle musicale, una serie di frammenti di canzone tra cui “Fortuna disperata”, “Vidi la forosetta” “Mangia biscotto”, “Iam pris amours”,” Scaramella”, “Non dormite”, “Ma buce rit”. La composizione si fonda su un apparente gioco non-sense, ma nel contempo offre una ricognizione gustosa di una presenza plurilinguistica e multiculturale che produrrà in Italia anche repertori specifici, come quello delle canzoni “grechesche” e delle “todesche” che si affiancano con diritto alle “ciciliane”, alle “napolitane” e alle “viniziane”, altro non essendo che repertori ricreati sulla falsariga linguistica e fonetica delle varie comunità interagenti nella Penisola italiana.
Nella sezione si accettano relazioni non solo di musicologia ma anche di teatro, letteratura, cultura sempre incentrate sugli scambi interculturali tra le culture d’oltralpe e quella italiana vista anche nella sua differenziazione regionale.
Sezione 9
Letteratura italiana moderna e contesto europeo
a cura di Pasquale Guaragnella, Univ. di Bari
pasquale.guaragnella@uniba.it
Sezione 10
Didattica dell’italiano
a cura di Patrizia Mazzotta e Rossella Abbaticchio, Univ. di Bari
patrizia.mazzotta@uniba.it; rossella.abbaticchio@uniba.it
Publiziert von: cf